Dopo il forte rallentamento dello scorso anno, il 2021 ha visto una rapida ripresa del PIL (prodotto interno lordo) e dei livelli occupazionali su scala mondiale, grazie alla progressiva riapertura delle attività economiche e al supporto fornito dalle autorità monetarie e fiscali. Ne sono conferma la crescita dei PIL statunitense, europeo e italiano rispettivamente al 5,7%, del 5,2% e del 6,5% per il 2021. Allo stesso tempo il Purchasing Managers Index per il settore manifatturiero statunitense ha raggiunto i massimi storici, mentre le richieste iniziali di disoccupazione negli Stati Uniti sono scese al livello più basso da oltre 50 anni.

Il forte recupero dell’attività economica, unitamente alle pres- sioni rialziste sulle quotazioni delle commodities energetiche, dovute a una crescita della domanda superiore all’offerta, hanno generato un forte aumento dei prezzi e, quindi, dell’inflazione. Tale aumento si è particolarmente intensificato intorno alla fine dell’anno. Nel mese di dicembre l’inflazione statunitense è salita al 7,0% rispetto allo stesso mese del 2020, ai massimi dal 1982, mentre quella tedesca si è portata al 5,3%, ai massimi dal 1992.

Malgrado il rialzo dell’inflazione, le banche centrali hanno mantenuto un approccio complessivamente accomodante di supporto all’economia. Soltanto alla fine dell’anno hanno deciso di procedere al graduale ritiro degli stimoli monetari. In particolare, la FED ha inizialmente annunciato a novembre la riduzione progressiva di 15 miliardi di dollari al mese del QE (Quantitative Easing) e nel successivo meeting di dicembre ha raddoppiato a 30 miliardi di dollari il piano di riduzione mensile degli acquisti, per giungere all’azzeramento del QE a marzo 2022. La FED ha inoltre comunicato la previsione di tre rialzi dei tassi nel corso del 2022. Dopo aver provveduto a intensificare il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) nel 2° e nel 3° trimestre, nel meeting di dicembre la BCE ha invece annunciato la fine di tale programma a valere dalla fine di marzo 2022, con sua temporanea sostituzione, per un periodo complessivo di 6 mesi, con il potenziamento del programma APP (Asset Purchase Programme).

Malgrado il consistente aumento delle attese inflazionistiche, la politica delle banche centrali ha compresso i rendimenti obbligazionari reali su nuovi minimi storici, con conseguente rialzo contenuto dei rendimenti nominali. Il rendimento nominale tedesco a 10 anni è salito di 39 bps (da -0,57% a -0,18%), con la componente reale in calo di 59 bps (il nuovo minimo storico è stato registrato a metà novembre: -2,26%) e l’inflazione implicita in rialzo di 98 bps. Nel caso del Treasury statunitense, l’aumento del rendimento nominale è stato più marcato (+60 bps; da 0,91% a 1,51%), a riflettere l’approccio meno accomodante della FED e la maggiore dinamicità dell’economia statunitense, con la variazione interamente indotta dalle attese inflazionistiche, mentre la componente reale è risultata complessivamente stabile ai minimi storici (anche in questo caso il nuovo minimo è stato registrato nel mese di novembre: -1,20%). Lo spread BTP-Bund ha mostrato un moderato rialzo (+24 bps, ovvero da 111 a 135 bps), interamente concentrato negli ultimi 2 mesi dell’anno di riflesso alle attese di graduale ritiro degli stimoli monetari da parte della BCE al fine di mitigare la dinamica inflazionistica conseguente al surriscaldamento dell’economia.

L’andamento delle valute ha riflesso le diverse attese in termini di tempistiche di normalizzazione delle politiche monetarie da parte delle varie banche centrali. Nel corso del 2021 l’EUR/ USD si è deprezzato del 7% (a 1,14, in prossimità dei minimi da giugno 2020) e l’EUR/GBP è arretrato del 6% (a 0,84, ai minimi da febbraio 2020).